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Un mare senza voce... tra flussi e rifussi
Il mare non è una fogna blu
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La sentenza del giudice Talia nel processo al Sindaco Giuseppe Chicchi -1995

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Introduzione - Vent'anni dalla parte del mare e dei cittadini






MARIA CRISTINA GATTEI
Presidente Associazione Basta Merda in Mare

SERGIO GIORDANO
Fondatore Associazione Basta Merda in Mare

"Tutto iniziò con una corsa in spiaggia…", ricordavamo nel nostro primo libro, Scatologia alla riminese. Sono passati vent'anni e di strada ne abbiamo fatta, incontrando sul nostro percorso una variegata gamma di ostacoli naturali, tecnici e finanziari inventati spesso dai soliti burocrati che fanno come le tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano.
Vent'anni in cui Rimini varie volte ha tentato di rinascere, e tante volte si è svegliata disillusa; tante volte ha provato a progettare, a sognare e troppe volte si è trovata fiaccata dalla solita variante urbanistica. Gli scarichi a mare sono da troppi anni il prodotto terminale dell'intestino cittadino che non digerisce gli errori che vengono fatti sopra di lui. E ci troviamo ancora qui dopo vent'anni (ma forse anche dopo quaranta o cinquanta, perché i problemi della nostra cloaca maxima, l'Ausa, affondano le loro radici già negli anni sessanta), a confrontarci con una realtà sempre più complessa, con proclami, impegni, progetti faraonici pensati per non essere realizzati, con una classe politica più ignava di Ponzio Pilato. Verso la fine di questo libro, a pagina 171 c'è una significativa selezione di articoli. Ne abbiamo scelto uno per ogni anno dal 1990 a oggi, venti pugni nello stomaco della città, venti ragioni che ci hanno costretto a continuare in questo nostro impegno volontario ed entusiasmante per la sensibilizzazione della popolazione, un tempo ignara e sottomessa alle tre scimmiette, e di stimolo alla soluzione del problema.


Tutti assieme

Acqua, edilizia, rifiuti non sono elementi che si valutano allo stesso modo. Si percepisce nell'aria una nuova attenzione da parte della politica e dell'industria, finalmente, interessata, anche se in parte, all'inquinamento. Questo è preferibile al qualunquismo materialista e bigotto che dagli anni '70 ha caratterizzato le difficoltà degli ambientalisti nel loro agire, tenuti ai margini delle scelte fatte dalla politica come al pari di minoranze ritenute scomode e trattate come soggetti deboli.
Perché tutto questo è accaduto? Quale evento ha reso gli inquinatori di ieri più disponibili, anche se solo da un orecchio, a confrontarsi con la tragica situazione che essi stessi hanno creato? Un'autocritica sociale? O anch'essi hanno avuto una notte da Innominato? Forse invece è l'ago della bilancia degli interessi che sta lentamente puntando verso la scoperta di un nuovo business. Ciò ci rassicura e ci turba allo stesso tempo.
Ci rassicura perché se il recupero dell'ambiente può diventare fonte di nuovi guadagni nel disastro economico che attanaglia il mondo, e se i sistemi economici e le politiche industriali andranno in quella direzione, tutti non potranno che averne dei benefici. Il riciclaggio (e lo sa bene la mafia, che riempie in modo disastroso il vuoto della politica), la ricerca di nuove energie, la bio-edilizia e altro ancora stanno spostando una seppur ancora piccola parte dell'economia verso questa nuova potenziale "ricchezza pulita".
La cosa che più turba, invece, è che anche a livello politico (pubblico) è solo la dimensione economica di breve a prevalere. Il che vuol dire, sostanzialmente, cronica mancanza di pianificazione. Per questo, anche il volontariato rischia di essere preso in considerazione e valutato soltanto per l'apporto economico che può dare, che certamente c'è, ma non avendo da difendere alcun interesse economico proprio, trae la sua forza e la sua capacità propositiva dalle sue motivazioni, portatore di quella che spesso è oggi considerata una contro cultura, la cultura della gratuità.
La strategia politica dei partiti e del volontariato è naturalmente diversa. I partiti aggregano un gruppo intorno a un programma da realizzare, cercando il consenso, cioè voti, per avere il potere di attuare il piano previsto. Il volontariato, per la sua azione, tende ad aggregare più forze possibili (che possono essere di ideologie diverse) intorno a un problema, per stimolare le istituzioni a risolverlo. Non ha bisogno né di consenso né di potere, ma di idee forti, proposte realizzabili e persone disposte a rischiare e dedicare il loro tempo.
A questo riguardo la storia di "Basta Merda in Mare" è emblematica di come si possa innescare un processo virtuoso di crescita partendo da un'iniziale lotta politica, sviluppando e accogliendo al suo interno sempre più esperienze e visioni.
Il seme iniziale di "Basta Merda in Mare" è stato gettato dai Radicali Riminesi. Per anni, in solitaria, hanno stimolato l'opinione pubblica portando di forza la grave emergenza fognaria di Rimini all'interno di ogni campagna elettorale. Era una pura lotta politica, e "Basta Merda in Mare" era ancora un semplice comitato che traeva forza dalla tipica combattività radicale. E aveva una missione esclusiva: le fogne.
Quel seme è diventato una pianta robusta. Saggiamente e responsabilmente, centrato l'obiettivo di far emergere la criticità cittadina a livello politico (la cui paternità va certamente ai radicali), il comitato si è trasformato in associazione di volontariato staccandosi dall'alveo politico in cui era sorto, per sfruttare al massimo le potenzialità di un mondo che vive, come si diceva, di aggregazione.
Da esclusivo, il problema fognario è diventato prioritario, lasciando quindi spazio al dialogo costruttivo e alla collaborazione con altre associazioni ambientaliste (com'è avvenuto in occasione della realizzazione di questo progetto), mentre gli organi dirigenti attuali, come riferimento culturale, sono una rappresentazione completamente trasversale del panorama politico. Perché oggi, riconosciuta la gravità del problema fognario, bisogna passare alla soluzione dello stesso, e questo richiede il contributo di tutti. E "Basta Merda in Mare" ha ora il compito di fare da capofila tra tutti coloro che hanno a cuore questo obiettivo e che hanno la forza di poterlo realizzare. Bisogna saper vincere il protagonismo dei singoli e dei gruppi, pur rispettando le identità, per fare unità nell'azione politica e culturale.
A volte sembra prevalere la difficoltà a diventare controparte essendo in contrapposizione agli amministratori. La denuncia urlata, la scoperta di zone lasciate volutamente in ombra, le bugie e le omissioni di chi ci governa, di chi ci obbliga ad avere un metro corto e capire, per inserirsi e poter agire, quanti centimetri di consenso questo modo di fare politica richiede in quel momento. È come a poker, giocare al rialzo per mettere sul piatto le priorità fondamentali di questa natura martoriata, dando però l'impressione che sia anche un regalo che la politica fa agli ambientalisti e non come dovrebbe essere: un'azione improcrastinabile a tutto tondo.
Nessuno di noi è portato a mitizzare il volontariato. Anzi, se ne riconoscono tutti i limiti. Lo consideriamo una scelta di civiltà che riteniamo necessaria come stimolo al miglioramento e alla migliore soluzione possibile, senza pensare mai di sostituirsi alla funzione delle istituzioni pubbliche, ma richiamando le responsabilità di chi governa a garantire i diritti dell'ambiente, irrinunciabili per il benessere futuro.
Come possono gli ambientalisti conservare la loro identità originale e mantenere il loro patrimonio ideale? Le condizioni necessarie sono poche ma chiare: dare priorità all'azione per garantire la loro identità, per alimentare le motivazioni e per acquisire e aumentare la competenza mantenendosi liberi dal potere politico e da quello economico, pur utilizzando con intelligenza e trasparenza tutte le risorse offerte dalla legge.
Vorremmo, o quanto meno proviamo a lanciare una piccola scintilla per cambiare la società dal basso, ossigenandola di valori.


Con gli occhi aperti

La rassegna stampa raccolta in questi venti anni da "Basta Merda in Mare" (che trovate continuamente aggiornata nel nostro sito) risulta ora utilissima per fare il punto della situazione.
Essa ci fa riflettere su di una situazione di fatto purtroppo inequivocabile: con i soliti corsi e ricorsi sulle medesime tematiche, noi abbiamo vinto qualche battaglia, ma tutti gli amministratori degli ultimi 30 o 40 anni passeranno alla storia come coloro che hanno sicuramente perduto la guerra per il risanamento fognario e per il rilancio del nostro turismo balneare. Girandosi indietro, la carrellata delle occasioni mancate e dei misfatti è lunga.
Decenni di soldi pubblici gettati a mare, spesso sotto forma di progetti palliativi; il mancato sviluppo del piano PRUSST negli anni '90; le tante proposte mai prese in considerazione (come l'utilizzo delle cave del Marecchia per lo stoccaggio provvisorio degli scarichi); la resistenza che per molto tempo c'è stata ad affrontare il problema fogne con un'ottica diversa da quella che potremmo definire "di regime", grazie ai tecnici spesso portati da interessi personali all'utilizzo di tecnologie vecchie e superate che sono state imposte alla città a caro prezzo, mentre ultimamente si sottraevano ai soldi alla depurazione per destinarli alle buffonate di capodanno; il continuo mancato avvio di politiche per il riutilizzo dei reflui depurati gettati ignominiosamente a mare.
Tutti i lavori portati avanti non sono mai stati in grado di risolvere in modo definitivo, e neanche parziale, un inquinamento ambientale, vero attentato alla salute pubblica, capace come poco altro di frenare il nostro sviluppo e, in tempi di recessione, mantenere l'appeal della nostra offerta turistica.
Un fallimento, suggellato simbolicamente dalla scivolata del sindaco Ravaioli in quello che lui chiamò "limo", a San Giuliano, prima che iniziasse la costruzione della darsena, ma che era ben altro.
Sono stati fatti e rifatti piani generali, particolari, sono state impegnate risorse economiche in grandi opere idrauliche spacciate per risolutive del problema (come le vasche di prima pioggia, annunciate già dal 1994, ma realizzate solo nel 2005 e pure in malo modo), specialmente ogni volta che si avvicinava una tornata elettorale. Tutto questo mentre le infinite varianti urbanistiche seguivano logiche che mai tentavano di confrontarsi con la tenuta della rete fognaria, sempre più appesantita e precaria.
Ma nonostante la situazione non certo idilliaca del nostro mare, ancora nel 2004, la responsabile del centro studi e ricerche del Touring Club, Cristina Rapisarda Sasson, affermava che Rimini avrebbe potuto essere uno dei posti più belli del mediterraneo, "ma il mare è il problema numero uno". Sono passati altri 5 anni da allora, e noi ancora crediamo che la situazione sia recuperabile, se ci fosse la volontà e se il problema fognario diventasse una priorità assoluta per Rimini.
Purtroppo spesso invece è stata scarsa anche l'attenzione per i "dettagli", e l'immagine riminese è stata trascurata e danneggiata non solo per colpa del solito evento temporalesco, anche di modesta intensità e durata, che annerisce subito il mare.
Ancora non si è provveduto a una copertura della foce dell'Ausa, che potrebbe se non altro limitarne il fetore. Fetore che per anni è stato fatto calare sulla spiaggia con tempistica eccellente (per la pulizia del canale) proprio mentre era in corso un'importante manifestazione internazionale come il Paganello, che porta in riviera i giovani di tutto il mondo. Si può ricordare anche la distesa di liquame lasciato sulla spiaggia per giorni a Viserba qualche anno fa, in piena stagione, o la martoriata spiaggia di Torre Pedrera, che è arrivata a essere chiusa alla balneazione persino per buona parte del mese agosto. Tutti spot "promozionali" efficacissimi.

Per troppi anni tutti hanno nicchiato sul problema fognario, non solo tra la classe politica, ma anche tra le categorie economiche che, con poche eccezioni (tra queste i bagnini di Oasi Confartigianato), con troppa discontinuità, e mai con l'incisività necessaria, hanno fatto sentire la loro voce e il loro peso politico.
Ricordiamo un dato storico utile per riflettere. Nell'aprile 2000, durante l'assemblea per il rinnovo delle cariche dell'Associazione Albergatori, "Basta Merda in Mare" distribuì un volantino invitando gli associati a intervenire con forza sul problema fogne. Si legge nel volantino: "quello che vi chiediamo è di non rassegnarvi a vivere come in una realtà filmico-catastrofica, dove è vietato parlare di vulcani in pre-eruzione o di squali assassini per non spaventare i turisti, e poi... Siate su questo tempestivi e aggressivi come lo siete stati al tempo della mucillagine!". La tempestività e l'aggressività si limitarono a uno sconsolante invito a "Basta Merda in Mare" a cambiare nome. Tempestività... quanto tempo perso!
A otto anni di distanza (diciamo pure nove, perché al momento di scrivere questo libro siamo nelle stesse condizioni e lo saremo ancora per molto), il 15 agosto 2008, la giornata clou del turismo riminese, le tre scimmiette sono definitivamente cadute dal ramo, trovandosi con il culo per terra.
Un normale temporale estivo, intenso e di breve durata, uno dei pochi della stagione 2008, ha inondato rapidamente di merda la spiaggia riminese piena di turisti, pronti per la festa, e questa volta il famoso muro di gomma di falsa ignoranza di politici, amministratori, tecnici, commercianti, albergatori ecc. si è trasformato in un vero atto d'accusa con i tanti portavoce dell'economia turistica che, sui quotidiani e televisioni locali, finalmente sentenziavano senza più timori: "bisogna risolvere una volta per tutte il problema indecoroso della merda in mare". Meglio tardi che mai.


Con un unico obiettivo: la soluzione del problema

Nel corso della nostra attività siamo intervenuti e abbiamo partecipato a riunioni tecniche come osservatori, abbiamo provocato dibattiti, cercato alleanze ottenendo spesso come risposta uno sguardo con un'alzata di mani verso il cielo e la solita frase di rito: "per risolvere il problema ci vogliono risorse finanziare enormi abbinati a numerosi anni di impegni straordinari". E le fogne, da sottoterra, non portano voti, e gli interventi su di esse richiedono tempi che vanno ben oltre i pochi anni di un mandato amministrativo e non ripagano l'attività a breve di una classe politica sempre più allo stremo e sempre più desiderosa di consenso immediato.

Liberi da ogni integralismo, non abbiamo mai scelto la strada della protesta di disturbo e di spettacolo. Sappiamo che il problema è complesso e che la strada per la soluzione sarà lunga. E alle iniziative di denuncia, anche clamorose, abbiamo sempre unito concrete proposte e priorità da seguire. In questa ottica propositiva, "Basta Merda in Mare" come associazione ha deciso di aderire al forum del Piano Strategico Territoriale (PST), diventando soggetto costitutivo di "Rimini Venture 2027". Riteniamo che questa nostra adesione ci consenta di poter conoscere meglio e meglio interagire con altre realtà associative, sia nelle diverse commissioni del PST che in plenaria nel Forum medesimo.
Chiaramente rassicuriamo subito i lettori che, in questo impegno, non stiamo offrendo i nostri sogni, ma tutte le nostre certezze sulla unica soluzione del problema di lungo periodo che è lo sdoppiamento della rete fognaria. Certezze, che spesso devono venire "urlate", per cercare di strappare ai responsabili della res-pubblica il consenso, che ancora non c'è, sulla necessità di risolvere radicalmente il problema della merda in mare.
Nel momento in cui stiamo andando in stampa i lavori del PST sono ancora lontani dalla conclusione, ma una forte critica all'impostazione del Piano che già ci sentiamo di fare è quella di una sottovalutazione strutturale del problema, relegato all'interno di uno dei tanti gruppi di lavoro.
Un test chiave sulla reale efficacia del PST nel ridisegnare il destino delle città riguarda il Piano Generale delle Fognature (PGF), approvato nel 2006 dal Comune di Rimini. Il PGF ci è stato presentato, forse per ammorbidirci, durante i lavori del PST, proprio in una riunione della nostra commissione "delle reti e delle infrastrutture tecnologiche". Le soluzioni contenute nel piano delle fognature, ennesima impostazione palliativa alla soluzione del problema, che per ora non ha neppure la copertura economica (la solita mancanza di volontà di trasformare il problema in priorità), sono altamente insoddisfacenti e dovranno essere modificate, come abbiamo detto, sempre in commissione, con una nostra mozione conclusiva. Una mozione approvata che "non auspica, ma censura" il mantenimento delle "reti miste" specialmente nella zona di Rimini Sud come previsto dal PGF. Se tale indirizzo non verrà ascoltato da coloro che redigeranno il PST allora dovremo arrivare a prendere ulteriori decisioni radicali.
Perché non possiamo permettere di essere complici in progetti che, pur usando tecnologie idrauliche avanzate, hanno come risultato finale una scandalosa soluzione tampone di 18 condotte sottomarine, capaci solo di mascherare lo spettacolo indecoroso dei versamenti di fogna sulla battigia per portarli a 300 metri dalla riva. Se condotte sottomarine ci dovranno essere, queste dovranno solo portare al largo acqua non inquinata dei fiumi che ora sono stati cementificati nel loro percorso e trasformati nelle attuali cloache. Non pensiamo, vista la situazione attuale, che sia stata recepita adeguatamente la nuova normativa europea sulla qualità delle acque di balneazione che entrerà in funzione non nel 2027, data simbolo richiamata nel logo di "Rimini Venture", ma molto prima, più esattamente nel 2010.
Questa normativa europea finalmente applicherà, nelle analisi a campione, quella logica che per anni abbiamo denunciato avrebbe dovuto essere utilizzata per scoprire lo stato reale delle acque di balneazione, o meglio del mare, in ogni periodo dell'anno. Ecco, quindi, che le analisi che abbiamo realizzato in questo nostro progetto, con tanto di documentazione fotografica, utilizzando non i protocolli normativi attuali, ma il solo quel "buon senso" che verrà applicato in futuro grazie alle nuove normative, rappresentano un qualche cosa di innovativo e anticipatore.
Osservando, però, questo continuo rattoppare, questo rincorrere dietro alle emergenze, questo continuo rimpallarsi di responsabilità, questo continuo sottolineare che i progetti, anzi le decisioni innovative, sarebbero pronte, ma mancano le risorse finanziarie... ebbene tutto ciò ci mostra un futuro molto incerto. Temiamo che, per ottenere fogne sdoppiate (se non in toto, almeno in buona parte del sistema), funzionanti con versamenti in mare di sola acqua piovana trasportata da fiumi e ruscelli rigenerati, dovremo prendere ancora in esame la possibilità di rivolgersi alla Procura per ottenere quello che altre realtà, come Riccione (che spende tra l'altro molto di più in riqualificazione fognaria, pur essendo messa molto meglio di Rimini), Cattolica e Misano hanno regalato al loro territorio.
Se ciò avvenisse ritorneremmo nuovamente tutti al punto di partenza.


Leggi il primo articolo della rassega stampa

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Pubblicato su: 2009-04-11 (1864 Letture)

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