Pubblicato su La Voce di Romagna il 21 marzo 2012
di Simone Mariotti
Capita di essere contenti per quel che ci si sente dire, per quelle cose che tu hai ripetuto per anni, restando sempre inascoltato, e che ora iniziano a essere accettate, addirittura sposate dalla grande maggioranza delle persone che prima sorridevano davanti a certe affermazioni.
E si sorride magari rimpiangendo il tempo perduto, la pochezza di tante decisioni passate prese da chi era al comando, la rabbia per il tempo buttato, per i tanti silenzi alle domande rivolte all’amministrazione, ma si è alla fine un po’ sollevati. C’è il fatto e basta, e quello conta. Oddio, per ora ci sono sempre e solo parole e basta, ma sai com’è, prima non c’erano neanche quelle ed è già qualcosa. Poi però, passata la serenità della sorpresa, e molto più disincantati, ci si pongono altre domande su che cosa stia succedendo davvero.
Non parlo di “merda in mare” oggi, problema correlato, altra faccia della stessa medaglia, ma del riutilizzo delle acque reflue depurate, cioè dell’acqua dolce che passa dalle fogne e che esce dal depuratore una volta ripulita. Un bene prezioso e una strada, quella del recupero, che solo l’ignoranza generale della classe politica ha sino a oggi ritenuto una chimera irrealizzabile. In tanti paesi lo si fa da anni, ma non serva andare all’estero per trovare esempi illuminanti.
Sette anni fa, il primo libro pubblicato da Basta Merda in Mare (Scatologia alla riminese) conteneva un breve saggio tecnico scritto dall’ing. Massimo Solaroli in cui si raccontava come il recupero dei reflui per vari scopi fosse possibile e doveroso, elencando esempi di impianti da lui realizzati e operativi che risalivano anche a oltre 30 anni fa. Trenta anni fa, avete letto bene! Sempre su questo tema, il capitolo successivo in quello stesso libro lo scrisse Roberto Venturini, che la settimana scorsa è nuovamente intervenuto durante la serata dedicata al recupero delle acque reflue organizzata dal Rotary Riviera e dall’associazione La Cosa Giusta, ripetendo le meritorie cose che scriveva già sette anni fa. Le parole di chiusura in quel libro del 2005 furono: “Ecologia, economia turistica, economia agraria: tutte assieme indicano all’acqua dei depuratori la strada che conduce ai campi. Non resta quindi che iniziare a percorrerla”. A nessuno da allora ci ha mai voluto sentire da quell’orecchio.
Nel marzo di tre anni fa, durante una seduta al Piano Strategico in cui si illustrava il vecchio piano delle fognature, poi modificato, chiesi personalmente al relatore (un dirigente dell’azienda che aveva elaborato il piano) se era previsto almeno un euro (in quel progetto da 990miloni) per il riutilizzo dei reflui. Incredibilmente ricevetti un secco NO. L’ing. Totti era presente ed intervenne sottolineando sostanzialmente la pochezza e l’irrealizzabilità della questione, idea, devo dire a sua discolpa, piuttosto condivisa perché in questi anni, più o meno da tutti i tecnici della vecchia generazione (ed anche da Hera il messaggio era lo stesso) si è sempre sostenuto che recuperare i reflui per l’agricoltura era se non inutile, assolutamente impraticabile, vuoi per i costi troppo elevati, vuoi perché gli stessi agricoltori non ne volevano sapere e via dicendo. Ma, come detto, la scienza agraria e la tecnologia idraulica lo permettevano da decenni. Questo “no al riuso” veniva dunque pronunciato appena ieri.
Oggi, come liberati da un incantesimo, tanti ex-rospetti si sono trasformati in principi azzurri dell’ecologia e paladini del riutilizzo tanto che, annuncia Totti, durante la serata di cui sopra, dal 2016 almeno la metà dei reflui dovrà essere recuperata e riutilizzata. Meglio tardi che mai si dirà, e approvo, ma di solito chi ha preso grandi cantonate strategiche solo ieri non dovrebbe essere oggi di nuovo lì a gestire il processo decisionale, e questo in qualunque ambito ci si trovi: politico, tecnico, amministrativo. Ma sono campi, questi tre, in cui si riesce sempre a riciclare di tutto e in modo molto più semplice, anche se meno proficuo, dei reflui.
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